di Giovanni Bogani
La
rivoluzione glam. Falce e rossetto. Macché baffoni, operai, proletariato: loro
hanno inventato la rivoluzione in topless.
Loro chi? Le Femen. Sono belle,
bionde e nude. Invece di far parte del cast di un film di 007, stanno dentro
quello strano film sempre più folle che è la nostra vita. Costellata di
telegiornali, di foto su Internet. La loro potenza mediatica è esplosiva:
arrivano in un luogo, mostrano ai fotografi i loro seni nudi e gli slogan che,
di volta in volta, vi scrivono sopra. Sono dei dazebao in movimento, dei
telegrammi recapitati all’umanità con la forza assoluta dei loro corpi. Sono
gli ideogrammi di una rivoluzione chic.
Insomma, un fenomeno non da poco.
Delle ragazze ucraine che per combattere la mercificazione del corpo femminile
usano il corpo femminile, e il suo immenso potenziale di magnetismo, di
seduzione. Loro sono più pop delle Marilyn ripetute da Andy Warhol. E non
riesci a decidere se combattono per un mondo migliore, o se prima di tutto non
sono perfette pubblicitarie di loro stesse.
Per capirci qualcosa di più, era
utile essere a Venezia, ieri. Perché c’era, tra le proiezioni speciali,
l’anteprima mondiale di “L’Ucraina non è un bordello”. Il film che racconta
origini, presente e futuro del movimento Femen. Lo ha diretto una ragazza che
potrebbe essere una di loro: bionda, giovane, bellissima. Si chiama Kitty
Green, è australiana ma col trucco: la madre è ucraina, e lei con le Femen si
intende benissimo. Ha passato quasi un anno con loro, in uno di quei casermoni
ex sovietici che mettono tristezza solo a guardarli un minuto, così densi di
cemento e di rassegnazione, da dove pensi impossibile progettare niente di più
che gettare la spazzatura al mattino. Sembra impossibile che da lì siano venute
fuori delle pasionarie da copertina patinata. Ketty ha partecipato alle azioni
delle Femen, si è fatta arrestare con loro a Roma; ha parlato con le più
coraggiose, si è fatta raccontare la loro vita. E ce la mostra. In un film
vivace, ben filmato, ben montato, non agiografico né banale.
Apprendiamo
che le Femen sono nate cinque anni fa. Sentiamo parlare alcune di loro, le
vediamo allenarsi: perché, da soldatesse della bellezza e della guerriglia
mediatica, devono imparare a scappare in fretta, e a proteggersi dalle botte
della polizia. Vediamo alcune delle loro azioni: far suonare le campane
all’impazzata in una chiesa di Kiev, bloccare gli ingressi alla metropolitana,
rischiando le botte. Oppure in Turchia, truccarsi da donne islamiche, con
l’hijab, e da donne sfigurate con l’acido.
Però, tra le
pieghe del film, viene fuori qualcosa di strano. Per esempio, nell’azione che
le Femen fanno in Turchia, i costi sono sostenuti tutti da uno sponsor, un
produttore di lingerie. E per un’altra azione di protesta, sentiamo il loro
leader, il loro capo – un maschio! Si chiama Viktor – dire: “Quella, se non fa
bene la sua performance, i suoi 200 dollari se li scorda”. Come un produttore
di cinema, o un impresario teatrale. E in un’altra occasione apprendiamo che vendono
T-shirt e altro con il logo Femen. Tutto un universo di merchandising che è un
po’ lontano dall’immagine di rivoluzione che abbiamo noi.
Insomma: né
Lenin, una cui frase è pure tatuata sul decolleté di una delle ragazze –
“studiare, studiare, studiare” – né Fidel Castro, e neppure Cristo o San
Francesco, rivoluzionari quanto e più degli altri. La rivoluzione delle Femen
passa dalla carta di credito. E dai media. Combattono la mercificazione, se si
vuole, mercificandosi. Però la vita che si sono conquistata è di gran lunga
migliore di quella di tante loro coetanee.
“In Ucraina oggi prostituirsi
sembra una scelta obbligata. Le ragazze non vengono tenute in nessun conto
nella società. A chi vuole trovare un lavoro viene proposto solo di andare a letto
con chi glielo può procurare”, dice Inna all’incontro stampa. “Se non vogliono
andarci, quel lavoro se lo scordano. L’unica prospettiva è diventare una
schiava in famiglia o lavorare per il turismo sessuale. Noi combattiamo contro
tutto questo”.
Loro sì che ci sono riuscite.
Rischiando le botte della polizia e il carcere. Però adesso sono luminose,
perfettamente truccate, con i tacchi a spillo, i fiori tra i capelli, non hanno
lividi, e sono delle dive a tutti gli effetti. Dimenticavamo: adesso vivono in
Francia.
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