VENEZIA. Berlinguer, gli vogliono ancora bene. “La voce di Berlinguer”, film documentario di Mario Sesti e Teho Teardo, presentato ieri fuori concorso a Venezia, ripercorre con affetto la parabola dell’ultimo grande leader del Pci. A partire dalla fine: da quell’ultimo discorso, portato in fondo nonostante il malore che lo aveva colpito, e che lo avrebbe portato alla morte. Mentre la folla metà capiva, metà no, e gridava il suo nome.
Berlinguer si passa un fazzoletto sulla bocca, continua a parlare, non osa chiedere aiuto a chi gli sta vicino. Il suo vacillare, il suo tener duro. Non c’entrano destra e sinistra. C’entra il destino, la fine di un uomo. La sua grandezza, nel morire. Muore sul palcoscenico, come Molière.
“La voce di Berlinguer” è veramente quel che il titolo promette. Mario Sesti, giornalista e direttore del festival di Taormina, lascia che sia la voce dell’uomo politico a far da fil rouge a tutto il film. Con, sopra, immagini d’epoca e di film d’autore. Alla fine, viene fuori il racconto di un partito che non c’è più. Una folla compatta, coesa, entusiasta. Convegni del partito, piazze. E facce. Basettoni, baffi, maglioni a collo alto, camicie di terital. Militari con la sigaretta di traverso.
Non ci sono commenti. Solo le immagini di film come “La commare secca” di Bertolucci, o di “Comizi d’amore” di Pier Paolo Pasolini, fotografia dell’Italia degli anni ’60. Per ricordarci come eravamo. Per dire, a quelli di noi che non c’erano, com’erano i volti di quell’Italia lì. Meno glamour, e così vera.
Berlinguer si passa un fazzoletto sulla bocca, continua a parlare, non osa chiedere aiuto a chi gli sta vicino. Il suo vacillare, il suo tener duro. Non c’entrano destra e sinistra. C’entra il destino, la fine di un uomo. La sua grandezza, nel morire. Muore sul palcoscenico, come Molière.
“La voce di Berlinguer” è veramente quel che il titolo promette. Mario Sesti, giornalista e direttore del festival di Taormina, lascia che sia la voce dell’uomo politico a far da fil rouge a tutto il film. Con, sopra, immagini d’epoca e di film d’autore. Alla fine, viene fuori il racconto di un partito che non c’è più. Una folla compatta, coesa, entusiasta. Convegni del partito, piazze. E facce. Basettoni, baffi, maglioni a collo alto, camicie di terital. Militari con la sigaretta di traverso.
Non ci sono commenti. Solo le immagini di film come “La commare secca” di Bertolucci, o di “Comizi d’amore” di Pier Paolo Pasolini, fotografia dell’Italia degli anni ’60. Per ricordarci come eravamo. Per dire, a quelli di noi che non c’erano, com’erano i volti di quell’Italia lì. Meno glamour, e così vera.
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