di Yuri Baldi
Il primo documentario di Paolo Virzì è un vero caciucco di storie,
panorami, canzoni, personaggi, tutti livornesi veraci. Cucinato alla
perfezione. Proprio per quel tocco di genuinità che Virzì, da buon livornese,
ha saputo dargli.
Il regista di grandi successi, come “Ovosodo” e la “Prima cosa bella”, anche
stavolta ha omaggiato la sua città, scegliendo come soggetto il proprio amico
Bobo Rondelli, incompreso cantante livornese. E chi non conosceva Bobo Rondelli
deve ringraziare Virzì per averglielo presentato.
Con naturalezza, di getto, un documentario biografico mostrato come
fosse un backstage, un dietro le quinte che sfiora il reality; per quanto il regista
riesce ad entrare nell’intimità dell’artista. Addirittura standogli accanto nel
litigio con la moglie, andandolo a trovare a casa da sua madre, fino ad
accompagnarlo alla tomba del padre.
La romantica storia di un musicista raffinato e poliedrico, timido,
melanconico, ma anche istrionico e con la battuta sempre pronta. Che è rimasto
a Livorno, senza assaporare il successo. Preferendo i concerti in provincia,
nei circoli Arci, ai grandi palcoscenici. Virzì indaga, fa uno zoom sulla natura
psicologica del personaggio. Il tipico livornese che si vergogna dei propri
sentimenti, rinnegandoli, sopprimendoli con una forte impronta comica. Che si
guadagna la “stima del cortile” per aver mandato a quel paese i dirigenti della
Rai.
Ma chi è Bobo Rondelli lo si afferra anche dalle tante interviste realizzate.
Per l’occasione sono stati convocati sia chi ha
lavorato con lui: come il compositore Bollani, l’ex manager Zaccardi e il
discografico Pirelli. Sia tutti i livornesi di spicco: dal sindaco Cosimi al
cabarettista Migone, dall’attore Ruffini alla cantante Nada e tanti altri. C’è
famigliarità nelle inquadrature, disinvoltura nei dialoghi: sembra di stare in
mezzo a loro.
E poi ci sono le canzoni. Autore di testi
provocatori e scellerati come “Overdose adventure”, “Giulio” e “Gimme maney”.
Ma anche di pura poesia come “Ultima danza” e “Madame Sitrì”. Quest’ultima che,
per il suo verso finale, suona quasi profetica della vita del protagonista.
“Bella Livorno, mi fermo qui”.
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