giovedì 16 maggio 2013

Le ragazze cattive di Sofia Coppola


di Giovanni Bogani

CANNES. Oltre a molta pioggia, e a molto freddo, sulla Croisette di Cannes piombano due film a dirci che il mondo è cambiato. E che potremmo non riconoscerlo più. Nel film di Sofia Coppola, “The Bling Ring”, ragazzine alla moda vanno a rubare nelle case di Paris Hilton e di altri vip a Los Angeles, solo per potersi mettere un vestito firmato, un tacco dodici, una borsa firmata. Nel film di François Ozon, “Jeune et jolie”, giovane e carina, una diciassettenne si prostituisce non per bisogno di soldi, ma per scelta, per inquietudine volante non identificata.




         E’ il mosaico di un mondo che non ha più confini tra bene e male. Un mondo in cui l’abito fa il monaco, eccome se fa il monaco. E in cui nient’altro sembra avere importanza. Che cosa conta davvero, per le “ragazze cattive” del film di Sofia Coppola? Il “life style”. Lo stile di vita. I vestiti. Le scarpe. Gli occhiali da sole. La borsa. La pelliccetta. La minigonna. Il cappello. I gioielli. Che cos’è la nostra civiltà? E’ un mosaico di cose possedute. Di armadi, di scatoloni dove mettere scarpe, top, lingerie. Per esibire al mondo chi siamo. E strisce di cocaina, euforia, balli, feste.

Non c’è altro, per un’ora e mezza di film, ritmato e colorato. E’ una specie di “Pulp Fiction” al lucidalabbra. “The Bling Ring” racconta la storia vera di una gang di adolescenti che ha rubato nelle case di Paris Hilton, di Orlando Bloom, di Lindsay Lohan. La fotografia del niente, e del tutto, che ci invadono oggi.

         C’era la folla, la mattina, in fila per vedere  il film, che ha aperto a Cannes la sezione “Un certain regard”. E alla fine, applausi, convinti. Meritati? Da una parte sì. Perché Sofia Coppola ha disegnato un altro dei suoi film color confetto, tutti rosa, celeste e giallo chiaro. E dentro ci ha messo una fotografia inquietante del presente. Il suo primo film, “Il giardino delle vergini suicide”, raccontava di adolescenti bionde, Wasp, americane “di serie A”, e irresistibilmente minate da tendenze all’autodistruzione. Questo suo ultimo film è un giardino delle vergini ladre.

         Dall’altra, si rimane sempre come a guardare da lontano. Non entriamo mai davvero nelle psicologie dei personaggi: un po’ di più in quella del ragazzo, Mark. Uno che se ne sta nella cameretta con scarpe tacco dodici. Ma, per il resto, è un mosaico di figurine. Un caleidoscopio di immagini di contemporaneità. Non c’è sostanza, né dentro le ville dei vip derubati, né nella vita delle ladre. E’ come se tutto fosse svuotato di senso.

         “Avevo sentito parlare della storia del ‘Bling Ring’, ma senza prestarvi particolare attenzione”, dice Sofia Coppola.  “Poi ho letto un articolo su ‘Vanity Fair’ e ho pensato che somigliava già a un film. Soprattutto le parole di questi teenager mi hanno colpito: avevano l’aria di pensare che non avevano fatto niente di male, e si interessavano soprattutto alla notorietà che quei furti avevano portato loro. Ho pensato che questo episodio raccontava molto di che cosa significa crescere nell’epoca di Facebook e Twitter”.

         Adesso le sorelle Neiers, che facevano parte del Bling Ring, hanno il loro show televisivo negli Stati Uniti. Tutto si confonde, bene e male non hanno più confini, conta solo far qualcosa che faccia parlare. Siamo tutti spettatori, siamo tutti protagonisti. Intorno a tutto questo, la città di Los Angeles. Una specie di pianeta affascinante, con le sue luci di notte. Un po’ come nel film “America oggi” di Altman, chissà se qualcuno se lo ricorda ancora.

         Nel gruppo di attrici e attori, l’unica conosciuta è Emma Watson, la Hermione di “Harry Potter”. “Non volevo fare una parodia del personaggio che interpretavo, non volevo giudicarlo”, dice Emma Watson. “Se penso ancora a ‘Harry Potter’? No, fa parte del mio passato, direi. Ma ne sono orgogliosa, e quando la gente mi ferma per quel film mi fa piacere”.




          

          











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